Installazioni
di Marisa Bello e Giuliano Spagnul, Centro sociale Leoncavallo, Milano 8 aprile
– 8 maggio 1999
“A me piace costruire universi che cadono a pezzi”
scrisse Philip K. Dick. Marisa Bello e Giuliano Spagnul hanno raccolto
pazientemente quei pezzi per quasi un anno nei vecchi cassetti, nelle soffitte,
nelle discariche, hanno preso il kipple di Dick e lo hanno ricombinato,
intrecciandolo con immagini e suggestioni dell’arte del ‘900 (Duchamp, De
Chirico, Francis Picabia, Joseph Cornell fra gli altri), con i testi che
amavano di più dello stesso Dick e con altri di Georg Buchner, di Samuel
Butler, di Franco Fortini, di Ernesto De Martino. Soprattutto di De Martino,
acuto antropologo materialista oggi dimenticato perché poco adatto a una
società rincretinita, e che in una citazione che campeggia su una parete spiega
che cosa sia un ‘maestro’ non autoritario.
Per un mese in una grande sala del Leoncavallo si
sono visti concetti e temi di Dick vivere in sculture, quadri e testi opera di
due di quegli artigiani umili e tenaci che Dick amava tanto e che trasformò nei
suoi personaggi migliori. Anche Primo amava la gente così, era uno di loro e
non aveva smesso di esserlo neppure quando era diventato un personaggio noto e
prezioso per tutta la controcultura e i movimenti di opposizione milanesi e
italiani. E Moroni amava anche la fantascienza, il ballo, il vino e la
conversazione (che non era mai noiosa, ma non era neppure chiacchiera).
Perché Marisa e Giuliano abbiano scelto Dick per
creare questo grande e piccolo evento in ricordo di Primo è qualcosa che è
collegato alla loro storia, e al loro arrivo a Milano alla metà degli anni
Settanta, al Centro Sociale Isola e a Un’Ambigua Utopia. Mi permetterete di non
raccontarvela, questa storia, perché ne faccio parte un po’ anch’io: tanto,
saperla non toglie e non aggiunge nulla all’intensità e alla forza del loro
lavoro."
Antonio Caronia
(Flesh Out. Corpi e attitudini fuori controllo. N. 4
giugno/luglio 1999)
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Inaugurazione |
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Melina Miele |
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Serata di letture |
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Maurizio Biosa, Francesca Albanese, Marisa Bello |
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Antonio Caronia |
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Franco Romanò, Maurizio Biosa |
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Silvia Baldini, Paola Bassani |
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Melina miele |
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Lucia Paoletta |
Note
su un percorso
Costruire immagini, assemblare materiali su Dick
ripensando a Primo è stato anche ritrovare un tempo della memoria in cui si
agglutinavano in maniera insolita molti tipi di materiali. Avevamo deciso di
lavorare con materiale di scarto recuperati dall’immondizia metropolitana e
lasciare il progetto con una griglia tanto larga da poter essere modificata da
ogni incontro con altre persone, idee, materiali. Il metodo di lavoro a nostra
insaputa è diventato sempre più associativo, aggregativo; a volte sembrava che
oggetti e scarti di materiale dalle funzioni più diverse si mettessero insieme
quasi da soli, con una volontà narrativa autonoma. E mentre gli
oggetti-sculture prendevano forma, la memoria riportava lucide schegge dalla
nostra storia. Così è diventato inevitabile riprendere in mano “L'orda d'oro”
visualizzandone alcuni momenti. Riattualizzare scarti, manipolare detriti,
riattingere a un passato culturale…
Dick, per un’associazione a noi stessi sorprendente,
ci faceva spesso pensare ad Ernesto De Martino. Da mondi così lontani e
sconosciuti l’uno all’altro, in fondo, gli stessi temi: realtà, datità, crisi
della presenza, normalità, follia, reale, immaginario. Interfacce,
sconfinamenti, connessioni inconsuete. Ne parlavamo solo tra noi… poi
riprendendo i vecchi testi abbiamo deciso di osare. Era come se il dar forma a
nuove immagini e nuove strutture differenti, partendo da materiali consueti,
producesse nuove sinapsi, nuovi modi di esperire il nostro stesso piccolo
patrimonio culturale. Spesso ci siamo sentiti folli anche noi, ma il pensiero
di Primo ci stimolava ad andare avanti e a praticare quelle libertà che le
nostre stesse griglie mentali giudicavano come troppo ardite o improponibili.
Il pensiero di Primo ci ha accompagnato per l’intero
anno e il ricordo del suo spirito libero ci ha fatto trovare il coraggio di
osare e di esporre, per quel che ne siamo capaci, non solo le opere a lui
dedicate, ma anche il pensiero e le letture che hanno accompagnato il nostro
lavoro con un nuovo coraggio e più ampia libertà.
Grazie Primo
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Il manifesto |
Uno dei cardini dell’opera dickiana è l’uomo come
fautore di socialità; l’uomo il cui fine è l’interagire tra umani.
Noi della generazione del ciclo storico passato,
abitanti dei vecchi centri sociali, vorremmo dare forma ai nessi esistenti tra
le atmosfere di un centro sociale e la narrativa dickiana amata da un compagno
come Primo Moroni, che della capacità di cogliere nessi ha fatto il fulcro del
suo esistere.
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Sognano gli androidi? |
Il fare socialità dickiano si interseca col fare
creativo come capacità peculiare dell’uomo. L’eroe della sua fantascienza è un
uomo che riscopre il rapporto della manualità creativa e intelligente, il cui
fare diventa metafora del costruirsi come umano. In Dick vengono esaltati
piccoli personaggi comuni, che aggiustano, reinventano, riciclano, e che
insieme alla lotta per la sopravvivenza rifondano l’essere umano creatore del
proprio destino attraverso la propria operosità, evitando la delega ad un’alta
tecnologia autoritaria e paternalistica, non solo ad appannaggio di pochi, ma
che ha creato un solco tra se e gli umani, esaltando una sua capacità
replicativa in cui nessuno inventa più, ma tutto si riproduce come copia sempre
più sbiadita di se stessa.
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la valigetta del dottor Sorriso |
Per questo noi operatori visivi, come due piccoli
personaggi dickiani, vorremmo raccogliere materiali scartati dalla società dei
consumi per costruire macchine elementari, oggetti, pitture, spazi rimotivati
nel senso e nella carica emotiva. Questa installazione costruttiva e visiva,
pensata per lo spazio e la storia del Leoncavallo, costituirà un evento unico e
non ripetibile, tanto vorremmo forti i legami tra lo spazio del centro e le
nostre creazioni immaginarie.
“Il mondo
del futuro, per me, non è un luogo, ma un evento… una costruzione in cui non
esistono autore e lettori ma solo tanti personaggi in cerca di una trama.
Ebbene, non c’è trama. Ci sono soltanto loro e quello che fanno e dicono l’un
l’altro, quello che costruiscono per sostenersi individualmente e
collettivamente, come un grosso ombrello che fa passare la luce, ma non le
tenebre.” (P. K. Dick, discorso di Vancouver 1972).
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