mercoledì 20 gennaio 2021

Antonio Caronia: L'immagine fotografica

 


(…) L’immagine fotografica tradizionale, oltre alla stretta corrispondenza fra il soggetto rappresentato e l’impronta o la traccia della “cosa necessariamente reale che è stata posta dinanzi alll’obiettivo,” per usare le parole di Roland Barthes, realizzava anche un peculiare senso del tempo. La fotografia analogica, chimica, fissando per sempre un particolare istante, lo prolungava sino a noi anche se lo allontanava in maniera definitiva e radicale. Il senso del tempo che ne derivava era una solida presenza del passato all’interno del presente, un cristallizzarsi e un oggettivarsi della memoria, una garanzia di convocazione del passato presso il presente. L’immagine digitale sconvolge alla radice tutta questa situazione: essa realizza una “radicale dissonanza ontologica” (1) con l’immagine analogica. Non solo viene meno la garanzia che l’immagine digitale sia una traccia fedele, l’impronta che ha lasciato un soggetto posto davanti all’obbiettivo, dal momento che non sappiamo a quali modificazioni essa sia stata sottoposta, e possiamo sempre addirittura sospettare che essa sia totalmente sintetica e non corrisponda a nessun oggetto fisico, come quei paesaggi e quegli “attori virtuali” che da oltre dieci anni popolano i film realizzati con tecniche digitali. Non solo questo, perché la continua e totale manipolabilità, trasformabilità, dell’immagine in formato digitale la rende particolarmente inadeguata a testimoniare l’irreversibilità del passato. Soprattutto quando una di queste compare in rete, essa è inevitabilmente proiettata verso il futuro, sembra attendere e addirittura richiedere l’intervento che la modificherà, che la trasformerà in qualche cosa d’altro, sempre meno riconoscibile mano a mano che la manipolazione procede. Nell’era del digitale l’immagine non è più icona, prodotto, ma simulacro, processo.

(1)   Enrico Livraghi, “L’illimitata infodatezza dell’immagine digitale. Tesi intorno a un cinema d’oltre mondo”, in: A. Caronia, E. Livraghi, S. Pezzano (a cura di), L’opera d’arte  nell’era della sua producibilità digitale, Mimesis, Milano 2006.

Brano tratto da: Negli specchi della mente, in Cyberzone n. 22

lunedì 18 gennaio 2021

Il Sempione strizza l'occhio al Frejus

 Museum

Nove sale per un museo mentale

Museo di San Martino Napoli

maggio 1999


LA SALA DELL'ACCIUGA

da Elio Vittorini

Il Sempione strizza l'occhio al Frejus

drammaturgia di Renato Carpentieri

persone

Anna, Franca Esposito

Musodifumo, Giovanni Esposito

Il Vecchio

"ANNA - Ma anche mi trovo a pensare che proprio qui e non altrove, non in Africa, non in foreste vergini, sarebbe stupendo... vorrei che venisse in boschi come qui di Milano, di Parigi, ossia di dopo la città e non di prima, un tempo nel quale si fosse uomini simili ad elefanti, sereni al pari degli elefanti, ma liberi e non di qualcuno, non di un serraglio, seppure a costo di essere grevi come gli elefanti sono, tozzi, goffi, e non più ballerini graziosi o non più prestidigitatori come noi siamo... Non è un tempo che può esserci stato. E' un tempo che può, semmai, venire. Io non sarei qui solitaria, in un tempo simile... Siamo anche noi elefanti... Non capite un corno. Mica è il principio della notte. E' la fine."

  





















"...Diamo  ciò che abbiamo ricevuto in prestito di libri e idee come un contributo per la lotta contro il dilagare della virtù dimenticativa e l'estinzione dei cervelli." Amedeo Messina